Fides qua e fides quae, testimonianza ed evangelizzazione, libertà e oppressione. Su questi temi si sono sviluppati gli interventi che hanno occupato la mattinata della giornata di sabato 23 febbraio, organizzata dalla Commissione ecumenica interregionale per l’Ecumenismo e il Dialogo di Piemonte e Valle d’Aosta. Il pomeriggio ha visto invece un dibattito più incentrato alla vita ecumenica delle singole Diocesi; perciò ritengo utile soffermarmi solo sulla prima parte della giornata.
A intervenire sono stati Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, il pastore valdese Gianni Genre e padre Athenagora Fasiolo, archimandrita dell’Arcidiocesi ortodossa d’Italia. Il tema centrale “Come potranno credere?”, ripreso dalla lettera ai Romani, è stato sviluppato dai tre oratori lungo linee guida differenti.
Bianchi ha diviso l’argomento della fede in fides qua e fides quae. La prima, che rappresenta il sentimento generale della fiducia, è trasmissibile al nostro prossimo ed è precondizione della seconda, intesa come vero e proprio “credere IN” Dio, che è un dono che proviene solamente dal Signore. L’attenzione è stata spostata dal concetto di trasmissione a quello di testimonianza da parte del pastore Genre. Compito del buon testimone è restare “coi piedi per terra”, al corrente degli affari del mondo, per poter entrare in stretta relazione col prossimo ed evangelizzare. Un approccio più storico ha caratterizzato l’intervento di Fasiolo, il quale, dopo una sintesi della storia del cristianesimo orientale, ha esposto la difficile situazione dei fedeli ortodossi in due differenti periodi: l’invasione islamica del XV secolo e l’egemonia dell’URSS durante la Guerra Fredda. Le difficoltà incontrate dalle diverse comunità nell’esercizio della fede e nella testimonianza indussero in entrambi i casi i fedeli a ricorrere al simbolismo, nato in età tardoantica e sviluppatosi nei secoli in una liturgia che aveva il ruolo di testimoniare un modo di credere.
Emanuele De Bettini