Predicazione della pastora Maria Bonafede nella celebrazione ecumenica di apertura della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che si è tenuta nel Tempio valdese di corso Vittorio Emanuele II, 23 a Torino, sabato 18 gennaio 2020.
Marco 16, 14-20
14.Alla fine Gesù apparve anche agli undici discepoli mentre erano a tavola. Li rimproverò perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non credere a quelli che lo avevano visto risuscitato. 15.Poi disse: “Andate in tutto il mondo e portate il messaggio del Vangelo a tutti gli uomini. 16.Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. 17.E quelli che avranno fede faranno segni miracolosi: cacceranno i demòni invocando il mio nome; parleranno lingue nuove; 18.prenderanno in mano serpenti e se berranno veleno non farà loro alcun male; poseranno le mani sopra i malati ed essi guariranno”. 19.Dopo quelle parole il Signore Gesù fu innalzato fino al cielo e Dio gli diede potere accanto a sé. 20.Allora i discepoli partirono per portare dappertutto il messaggio del Vangelo. E il Signore agiva insieme a loro e confermava le loro parole con segni miracolosi.
Cari fratelli e care sorelle in Cristo,
non avevo mai scelto di predicare su questo testo per due ragioni: la prima è che è un’aggiunta posteriore di almeno cinquant’anni alla vera conclusione del Vangelo di Marco che finiva al versetto 8 del capitolo 16 con l’impressionante incontro di Maria Maddalena e Maria madre di Iose con l’angelo al sepolcro vuoto di Gesù, che dice loro di non spaventarsi e che Gesù è risuscitato e le invia ad annunciarlo ai discepoli e a Pietro e loro due scappano via tremando piene di stupore e non dicono niente a nessuno perché avevano paura. Punto. Fine. Quella fine così vera e brusca che ci dice che di fronte alla risurrezione si può soltanto tremare di stupore e di spavento perché ti accorgi che sei alla presenza di Dio e lo stupore ti fa scappare via: lì e solo lì può nascere la fede.
La seconda ragione è che in poche righe si concentra tutta la storia del cristianesimo e della chiesa cristiana del 1° secolo: l’apparizione di Gesù agli undici e la loro severa riprensione, il mandato di andare e predicare l’evangelo, la fede, il battesimo, l’anatema su chi non crederà, i segni miracolosi di quelli che crederanno, il parlare in lingue, addirittura i credenti che potranno prendere in mano i serpenti, come Paolo nel racconto degli Atti a Malta, e bere veleno come se bevessero acqua fresca, e l’ascensione del risorto alla destra del Padre con gli stessi poteri e finalmente la partenza dei discepoli per portare la buona notizia ovunque con il Signore che li sostiene e conferma con i segni le loro parole. E’ una centrifuga che in un solo bicchiere mette il succo di decenni ed esperienze diversissime, dei diversi doni delle chiese del NT, di avvertimenti, minacce, ma anche accompagnamento del Signore, di prodigi e miracoli e con la fine e la pienezza del regno di Dio che si avvicina in modo impressionante: Gesù alla destra del Padre e col potere di Dio. C’è da rimanere senza fiato!
Eppure questo testo un po’ importuno, che somiglia a Marco solo un po’ e tanto a parti degli altri vangeli, ha un evangelo per noi questa sera perché ci dice almeno tre cose chiare che ci riguardano anche in questa settimana nella quale il fatto che preghiamo insieme per l’unità dei cristiani, ci ricorda che uniti non siamo, non ancora, non ancora pienamente. Non siamo soltanto chiese diverse nelle tradizioni e nel modo di vivere la fede, che potrebbe essere una ricchezza, ma siamo anche e ancora divise. Questo evangelo ci dice:
- Che senza che Gesù ci incontri, senza che il risorto venga in mezzo a noi e ci parli noi siamo come gli undici che si mettono a tavola senza riuscire a credere, come se Cristo non fosse risorto, incapaci di credere all’annuncio che hanno ricevuto della sua risurrezione. Letteralmente “increduli e con il cuore duro”. La dimensione dell’incredulità rimane nella chiesa se il Signore in persona non viene a scuoterla con il suo rimprovero. E questa durezza del cuore non riguarda i credenti svogliati e tiepidi di cui tutte le chiese lamentano la debolezza della fede. Qui sono “gli undici”, non i discepoli marginali. Proprio loro, i suoi, i primi che il Signore sgrida e chiama increduli dal cuore duro, non gli ultimi, non quelli che non hanno nulla. Si può essere i primi nella chiesa e credere più alle nostre idee di grandezza, più alle nostre consolidate e forti posizioni che alla predicazione che si riceve in Cristo e che ci può giungere dalle donne spaventate al sepolcro, o dalle pietre quando i discepoli tacciono attoniti.
- Gesù il Cristo affida ai suoi discepoli così umani e così poco luminosi la sua parola, l’Evangelo della resurrezione affinché ogni creatura possa giungere alla fede. Non è la nostra capacità, la nostra sapienza, il nostro potere nel mondo che ci rende apostoli delle genti, ma la bontà di Dio, la decisione del risorto che prende persino i più duri di cuore, come gli undici che non capiscono quello che è successo e li rende suoi strumenti perché il mondo creda.
- Credere all’Evangelo della resurrezione è una scelta di vita: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” Non è una minaccia, questa parola esprime la necessità di scegliere, di assumere la fede come il criterio della vita, di ogni cosa della vita, e per chi imbocca questa strada non sarà lasciato solo nelle difficoltà e nelle prove ma sarà benedetto dalla presenza del Signore con la parole ed i segni, in una vita e in una missione in cui la potenza del Signore si manifesterà perfetta nella debolezza..
Amen