Sabato 1° febbraio, presso i locali dell’Associazione Arca, quattro donne, tre musulmane e una protestante, hanno condiviso la loro esperienza di donne attive nelle rispettive religioni. L’idea è nata nel laboratorio di Sartoria de “Il Vaso di Sarepta” che è diventato oltre a un laboratorio di formazione professionale, un vero e proprio spazio di conoscenza.
Sumaya Abdel Qader, consigliera comunale a Milano, autrice del libro “Quello che abbiamo in testa” da cui ha preso il titolo la conferenza, ha posto in evidenza la necessità di ascoltare le donne musulmane che, sovente, sono raffigurate in modo caricaturale. Perché se è vero che ci sono donne musulmane annullate, ce ne sono altre che realizzano le proprie ambizioni, umane, accademiche e lavorative. Sumaya ha sostenuto l’urgenza di decostruire l’immagine della donna musulmana, di sbirciare nelle loro vite, perché sotto il velo c’è una testa che sogna, che pensa, che spera. Questo percorso di conoscenza deve articolare la domanda sul senso del pudore e sul significato dell’autodeterminazione delle donne musulmane. Perché se è vero che una donna musulmana in Italia deve fare di più, è anche vero che questo percorso è un prolifico cammino di ricerca.
Helene Fontana, pastora nel Team delle Chiese battiste di Torino e della Città Metropolitana ha raccontato come il suo percorso di accesso al pastorato sia stato senza ostacoli. E questo grazie all’impegno delle donne che l’hanno preceduta perché in molti altri paesi le donne non possono svolgere il ministero pastorale nelle Chiese battiste. Helene ha stigmatizzato come una comprensione letteralista della Bibbia sia la causa dell’esclusione delle donne dal ministero e ha evidenziato, al contrario, come nel Nuovo Testamento sia evidente che le donne parlassero nelle assemblee, fossero nel novero dei discepoli e soprattutto siano state le prime testimoni del Risorto.
Suheir Katkhouda, fondatrice dell’Associazione delle donne musulmane in Italia ha raccontato la sua esperienza di donna che ha voluto riappropriarsi della sua identità religiosa nella prospettiva di un femminismo islamico. Suheir, promotrice di vari convegni sull’identità mussulmana come parte integrante della società italiana, ha spiegato come il velo sia un segno di ubbidienza non al marito, bensì a Dio e che il velo non impedisce di essere un membro attivo nella società.
Infine, Hind Lafram, stilista Torinese di origini marocchine ha raccontato la propria esperienza nel campo della moda e la propria aspirazione di poter esprimere nel campo della moda l’indentità di una donna musulmana italiana.
Il Convegno è stata una preziosa occasione di conoscenza e un primo appuntamento che ha posto in evidenza quanto sia significativo il contributo delle donne musulmane per la società italiana.