È oramai divenuta una presenza consolidata all’interno del Torino Film Festival, quella della Giuria Interfedi, che ormai da sette anni nell’ambito dell’importante manifestazione cinematografica internazionale torinese è chiamata ad assegnare il “Premio per il rispetto delle minoranze e per la laicità”. Il riconoscimento, istituito nel 2013 per iniziativa della Chiesa Valdese e della Comunità Ebraica di Torino, con la partecipazione del Comitato Interfedi della Città di Torino, mira a premiare e portare all’attenzione film che contribuiscono a dare voce a tutti i tipi di minoranze, a promuoverne il rispetto, il riconoscimento dei diritti, l’integrazione, il superamento delle discriminazioni e che affermano i valori della laicità, della cultura della tolleranza, del rispetto dell’autonomia, della libertà e della responsabilità individuali.
Nel corso del 37° Torino Film Festival, tenutosi dal 22 al 30 novembre, la Giuria Interfedi, che era composta da Sophie Peyronel, in rappresentanza della Chiesa Valdese, Daniele Segre, designato dalla Comunità Ebraica, e Beppe Valperga, per il Comitato Interfedi, ha premiato il film “Made in Bangladesh”, della giovane – trentottenne – regista bengalese Rubaiyat Hossain, al suo terzo lungometraggio, già presentato con successo quest’anno ai Festival di Locarno e di Toronto.
Undici erano i titoli in concorso, di nove diversi Paesi e più della metà significativamente riguardanti minoranze sessuali e diritti ed emancipazione delle donne. Il film premiato, assieme agli altrettanto meritevoli “Le rève de Noura” e “Dio è donna e il suo nome è Petrunija”, era uno dei tre con una protagonista femminile.
Una giovane addetta di una fabbrica di abbigliamento nella città di Dacca, in Bangladesh, con difficili condizioni di lavoro, un misero salario e straordinari spesso non pagati, assieme alle proprie colleghe, dopo un incidente in cui una di esse perde la vita, decide di dar vita a un’unione sindacale, nonostante le minacce dei superiori e la disapprovazione del marito, lottando per i propri diritti al lavoro come a casa.
Secondo la motivazione della Giuria, il film «rappresenta in modo efficace e crudamente realistico, con un’ottima recitazione e direzione, la condizione lavorativa femminile in un laboratorio tessile di un’area economicamente marginale, presentando una storia di emancipazione e coraggio che muove dalla presa di coscienza di diritti da noi dati per scontati e in altre realtà ancora da affermare».
Anche quest’anno alcuni studenti del Liceo valdese di Torre Pellice, accompagnati dal Preside Marco Fraschia, hanno seguito il Premio, assistendo alla proiezione di tutti i titoli in concorso e presenziando con emozione alla proclamazione del film vincitore.