1 Propose loro una parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi: 2 «In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; 3 e in quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: “Rendimi giustizia sul mio avversario”. 4 Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: “Benché io non tema Dio e non abbia rispetto per nessuno, 5 pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia, perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa”». 6 Il Signore disse: «Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. 7 Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? 8 Io vi dico che renderà giustizia con prontezza. Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»
Vangelo di Luca capitolo 18, versetti 1-8
Quale fede vogliamo raccontare? La parabola della vedova e del giudice ci offre quattro indicazioni: una fede che prega, una fede che è fiducia nella misericordia di Dio, una fede adulta, una fede che dà gloria a Dio.
Il racconto è chiaro: c’è un giudice che se ne infischia di Dio e degli uomini e una vedova che non può contare su altri se non sulla propria insistenza. E proprio l’insistenza della donna finisce per stancare il giudice, che si decide a farle giustizia per essere lasciato in pace.
Il primo insegnamento della parabola è che la fede si esprime nella preghiera. Gesù prega all’inizio e alla fine delle sue giornate, prega nei momenti cruciali del suo ministero, insegna ai suoi discepoli a chiedere perché «se voi che siete malvagi sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono» (Luca 11, 13).
Il secondo insegnamento della parabola è che la fiducia nel Signore d’Israele, nel Padre di Gesù è ben riposta perché Dio ha cura dei poveri e degli oppressi: «Il Signore è il tuo Dio, è un Dio misericordioso; egli non ti abbandonerà e non ti distruggerà» (Deuteronomio 4, 31).
Ma è proprio così? È proprio vero che Dio aiuta sempre ed è il protettore dei poveri e dei derelitti? Non sono, forse, pie menzogne, che l’esperienza concreta smentisce puntualmente? La fede che vogliamo insegnare alle prossime generazioni è una fede che deve sapere venire alle prese con le contraddizioni della storia, con le sue smentite, finanche con il potere del maligno. Per questo la preghiera ha la forma di un combattimento: «vi esorto a combattere con me con la preghiera» (Romani 15, 30), scrive l’apostolo Paolo. La fede che vogliamo trasmettere è la fiducia nel Creatore del mondo che serba il suo patto e le sue promesse verso Israele e il mondo intero, ma è altresì la fede che ammette che i nostri pensieri, ciò che per noi è razionale, non sono i pensieri di Dio; che le nostre vie, ciò che per noi è reale, non è la realtà del regno di Dio (Isaia 55, 8s.). Insegneremo una fede adulta, una fede che viene alla prese con il pensiero e con la realtà – e senza reticenze! – e insegneremo anche la fiducia che la parola di Dio non tornerà a vuoto, anche quando noi non riusciremo a capirla (Isaia 55, 11).
E infine insegneremo una fede che non pone al centro la mia richiesta, il mio bisogno, bensì la sovranità di Dio, la Sua misericordia, la Sua grazia e perciò la giustizia delle vedove e degli orfani di ogni tempo.
Sapremo insegnare questa fede? È la stessa domanda che Gesù pone ai suoi discepoli «troverà il figlio dell’uomo fede sulla terra?». È il compito che la parola di Dio oggi affida a ognuno, ad ognuna di noi.
Sandro Spanu, pastore battista a Torino