Siamo servi inutili, ma non buoni a nulla

«Quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite:
“Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare”».
(Luca 17, 10)

È giunto al termine il settennio del mio servizio pastorale nella Chiesa valdese di Torino ed è tempo di salutare, prima di trasferirmi con la mia famiglia presso la Chiesa valdese di Roma, via 4 Novembre. Lascio Torino con il cuore colmo di gratitudine verso Dio, padrone del tempo e delle circostanze, per avermi dato l’opportunità di svolgere una parte del mio ministero in questa bella città.

Voglio salutare alla luce della parola del Signore Gesù le sorelle e i fratelli delle Chiese di Torino. Condividere con voi un pezzo di strada è stato bellissimo e conoscervi un vero piacere!

In questi anni, che sono volati via, ci sono momenti belli che rimarranno impressi nella mia memoria, e momenti non belli da dimenticare. A Torino ho sempre trovato una motivazione nel lavoro pastorale in questa parola di Gesù: «Quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: “Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare”».
Essere servi inutili non significa essere dei buoni a nulla, ma vuol dire che non siamo insostituibili; facciamo solo ciò che dobbiamo e possiamo fare. Con questa coscienza ho svolto il mio lavoro come secondo pastore nella Chiesa valdese di Torino, un lavoro che è percepito, per fortuna non da tutti, come “contorno” di un grande lavoro che è svolto a monte dal pastore titolare. Nonostante questa percezione storta e per certi versi debilitante, ho cercato di svolgere le mansioni relative al mio ministero, niente di più e niente di meno, con tutti i miei limiti.

Il tempo trascorso a Torino è solo una piccola parte di una lunga e interminabile giornata di lavoro, come per il servo o lo schiavo della parabola di Gesù, il quale una volta tornato a casa dopo una giornata nei campi o a badare alle pecore del padrone, deve mettersi a preparare la cena e servire il suo padrone. Mi è stato insegnato, quando ero in Facoltà di teologia, che il servizio pastorale non ha orari, richiede solo disponibilità. Come uno schiavo che lavora instancabilmente senza aspettarsi alcuna ricompensa, così il discepolo di Cristo, anche quando ha compiuto quanto gli è stato comandato, deve considerarsi un servo inutile, uno schiavo a completa disposizione del padrone, senza la pretesa di avanzare diritti, come i farisei, i quali pensavano – grazie all’osservanza della Legge – di obbligare Dio a premiarli, per dovere di giustizia. Ma, a differenza dello schiavo che lavora per necessità, il discepolo non è obbligato a credere in Dio o a servirlo. Come servi inutili, senza mai considerarci indispensabili, abbiamo il privilegio di lavorare nella vigna del Signore, che non pregiudica le qualità dei suoi servi, ma si fida di noi e ci dà la forza e la capacità di servire per la sua gloria, per il bene dei nostri simili e per la nostra stessa gioia.

Un fraterno saluto, e buon cammino a tutte e tutti!

Jean-Félix Kamba Nzolo

Illustrazione di Max Cambellotti

 

Meditazione pubblicata sul numero dell’estate 2025 del Piccolo Messaggero, il bollettino delle Chiese valdese e battiste dell’area torinese. Chi fosse interessato a riceverne copia in PDF via email può farne richiesta a segreteria@torinovaldese.org.

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